L’origine di questo termine risale agli anni ‘80 e la sua paternità è legata al nome di Antoine van Agtmael, un economista della Banca Mondiale, che all’epoca propose di utilizzare “mercati emergenti” in sostituzione della vecchia denominazione “paesi del terzo mondo”, per indicare delle nazioni aventi delle caratteristiche in comune, con particolare riferimento all’elevato potenziale di crescita nel lungo periodo.
Per lungo tempo si è parlato dei BRIC, acronimo coniato nel 2001 da un banchiere di Goldman Sachs, Jim O’Neill, per indicare quattro economie emergenti: Brasile, Cina, Russia e India, che in base alle previsioni avrebbero avuto un ruolo crescente nel panorama dell’economia mondiale.
Alla sigla BRIC è stata in seguito aggiunta una “S” e si è passati a BRICS, per includere nel gruppo anche il Sud Africa.
Ad agosto 2023 si è deciso di fare entrare altri 6 Paesi a partire da gennaio 2024 e così il numero dei BRICS è salito a 11, includendo anche Arabia Saudita, Argentina, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Etiopia e Iran.
Lo stesso O’Neill ha creato poi nel 2013 un altro acronimo, MINT, per indicare Messico, Indonesia, Nigeria e Turchia, nuovi mercati emergenti con ottime prospettive di sviluppo.
Senza avere la pretesa di dettagliare in maniera completa ed esaustiva quali sono i mercati emergenti, visto che la lista varia a seconda di chi la stila e dei criteri utilizzati per la stessa, concentriamo la nostra attenzione sulle caratteristiche principali in base alle quali un mercato viene considerato emergente.
In linea generale possiamo dire che un primo tratto comune dei Paesi emergenti è rappresentato da un reddito medio-pro capite contenuto, per il quale però si prevede un rapido incremento negli anni successivi, accompagnato da una crescita sostenuta del PIL, solitamente oltre il livello del 5%.
Ciò è reso possibile generalmente da una trasformazione dell’economia, che avviene grazie a una forte spinta all’industrializzazione e all’urbanizzazione, ma anche all’incremento del consumo interno e al miglioramento delle esportazioni.
Un tratto comune dei mercati emergenti è il dinamismo demografico, visto che spesso hanno una popolazione giovane che si traduce in un aumento della forza lavoro e dei consumi interni.
Alla crescita di questi ultimi contribuisce anche una rilevante trasformazione sociale, con un calo tendenziale del tasso di povertà e la nascita di una classe media.
Ad accomunare i mercati emergenti è anche il forte potenziale di sviluppo in termini di infrastrutture, risorse naturali, tecnologia e capitale umano, cui si affiancano spesso rilevanti opportunità per l’innovazione e lo sviluppo di nuove tecnologie.
Un altro tratto distintivo è un significativo afflusso di capitali dall’estero, in particolare dai Paesi sviluppati, che realizzano investimenti ad hoc per sfruttare al meglio il potenziale di crescita dei mercati emergenti.
Questi ultimi sono considerati tali quando si caratterizzano per una maggiore volatilità, risentendo maggiormente delle fluttuazioni dei prezzi delle materie prime e delle principali valute, vista la loro dipendenza dalle risorse naturali.
All’instabilità economica a volte si affianca quella politica e ciò contribuisce a rendere più elevato il rischio degli investimenti rispetto ai paesi sviluppati.
Gli investitori interessati all’andamento dei mercati emergenti possono fare riferimento agli indici dei mercati emergenti stessi.
Nel dettaglio, l’indice MSCI emerging markets e l’Emerging Markets Bond Index (EMBI), misurano rispettivamente l’andamento delle azioni e delle obbligazioni dei mercati emergenti.
Visto che i mercati emergenti vantano spesso tassi di crescita più elevati di quelli sviluppati, l’azionario e i titoli di Stato dei Paesi emergenti restituiscono rendimenti maggiori agli investitori.
In secondo luogo, investire sui Paesi emergenti è vantaggioso perché hanno una bassa correlazione con i mercati sviluppati, inoltre le valutazioni sono frequentemente più attraenti, con un maggiore potenziale di upside da esprimere.
Investire in mercati emergenti offre altresì l’opportunità di diversificare il portafoglio, perché la loro decorrelazione da quelli sviluppati fa sì che possono comportarsi in maniera diversa in determinati contesti economici.
Citiamo innanzitutto l’elevata volatilità degli asset, per via di vari fattori quali l’instabilità politica, le fluttuazioni dei prezzi delle materie prime e la forte dipendenza dai flussi di capitali esteri.
Al rischio di cambio, prettamente legato all’andamento della valuta di un dato Paese, si affianca quello della liquidità, visto che in alcuni casi può essere limitata, rendendo difficile la compravendita di asset.
Tra i rischi ci sono anche l’instabilità politica e la mancanza o la scarsità di una regolamentazione legale o fiscale che possono impattare negativamente sugli investimenti, alimentano ad esempio il rischio di frodi o di una gestione non corretta.
La scelta di fondi di investimento gestiti da professionisti specializzati è sicuramente una mossa vincente e da questo punto di vista l’offerta di FWU è molto interessante, perché grazie alla sua tecnologia permette di investire nei mercati emergenti controllando il rischio.
I nostri prodotti vantano un elevato valore aggiunto, con numerosi profili di rischi e strumenti per mitigare la volatilità, grazie all’imprescindibile supporto di algoritmi che consentono di sfruttare al meglio le opportunità del mercato.
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